So long Ken

Avrei voluto da tempo scrivere qui di come sta cambiando la mia vita. Quando la vita corre non si riesce a scriverla in un blog.

Negli ultimi tre anni ho fatto tre università, per qualche mese due alla volta, ho scritto tre libri e sono diventata presidente del comitato locale di una società letteraria fondata nientemeno che da Carducci;

All’origine di questa storia di sudore e fatica – ché sotto i capelli bianchi ci sono anche i neuroni arrugginiti e l’orgoglio di puntare per forza al miglior voto e ho talmente stretto i denti che ancora non riesco a smettere di serrare la mascella di notte- c’era la decisione di trovare un lavoro da fare in questo Paese che ci ha accolti, da qui alla pensione.

Io ho avuto la grande fortuna di poter ricominciare da zero, ci ho messo parecchio a vederla come tale, mi sentivo come quelli che al Monopoli pescano la carta ricomincia dal VIA, solo che il mio VIA era quarant’anni prima e a sud delle Alpi.
Ma a un certo punto ho capito che era una gran fortuna, come avere davanti una pagina bianca su cui poter scrivere il seguito della propria storia.

E in come io ho deciso di scrivere quel seguito c’entra molto Ken Robinson, che ha scritto e detto le parole giuste per me, quelle che avevo bisogno di sentire, nel momento in cui ne avevo più bisogno.

Nel seguito della mia storia ho scritto che voglio continuare a scrivere storie.
Ci ho messo una vita a capire che era quello il mio elemento; Ken dice che una delle difficoltà a capire quale sia il nostro elemento, è che facciamo fatica a prendere sul serio le cose che ci vengono facili e che pensiamo sia normale, non che sia un nostro talento. Quindi per molti decenni, nessuno ha pensato che io fossi brava a raccontare storie, molti che io fossi chiacchierona. E intanto io non sapevo che vedere le storie che racconto, sia una mia dote e non qualcosa che succede a tutti.

E invece io, Carlotta, Nina, Lin e Chiara, le mie ragazzine di cui fra poco uscirà la seconda avventura, le vedo proprio mentre le racconto, se mi concentro sento anche l’odore, e potrei andare avanti a raccontarle finché ci saranno occhi che vorranno leggerle.
La cosa più difficile è scrivere abbastanza veloce per acchiappare tutti i dettagli che mi passano davanti agli occhi. E grazie a Ken Robinson ho capito che questa magia me la devo tenere stretta, farle spazio nella mia vita, fino alla fine dei miei giorni.

Nella mia pagina bianca ci ho anche scritto che nella seconda parte della mia vita, io posso solo fare un lavoro che restituisca qualcosa di quanto ho ricevuto e sia utile non solo a me. E che mi permetta di uscire dalle mie storie e stare con altre persone, meglio se giovani come nelle storie.
E strizzando l’occhio a Ken, mi è stato subito chiaro che voglio essere una brava insegnante, di quelle che non si lasciano sfuggire il talento di Paul Mc Cartney (Ken era di Liverpool come i Beatles e nel suo libro ne racconta un pezzo di storia).

Ed ecco il mio progetto, insegnare italiano e arte, scrivere e disegnare storie.
Il Paese in cui vivo è generoso su molte cose, ma non sul riconoscimento dei titoli di studio. Quindi per poter realizzare il mio progetto ho dovuto fare grande esercizio di umiltà e parecchia fatica. Ma se c’è una cosa che so fare è studiare e così ho fatto, stringendo i denti. E le soddisfazioni stanno arrivando a mazzi.

E ora che sono a un passo dalla meta, ho il magone di non poterlo più incontrare come speravo, e dirgli: Ehi Ken, grazie, avevi ragione, vale sempre la pena di ricominciare, per essere felici.