Di cosa stiamo parlando?

Sono mesi che non scrivo, e sì che ne avrei avute di cose da dire, ma dato che un bel tacer non è mai scritto, e di questi tempi in troppi dan aria alla bocca e ginnastica alla tastiera, ho preferito astenermi.

Per altro non è che abbia tanto tempo, corro. Tenere aperta la scuola pubblica è un atto di civiltà che, oltre alla volontà politica, richiede gente che corra e io mi son ritrovata in una squadra in cui bisognerebbe essere a vent’anni. Quella degli ultimi arrivati che vengono chiamati per tutte le supplenze. Bello è, oggi ad esempio mi tocca l’ultima ora del venerdì pomeriggio, la più ambita.
Di solito torno a casa completamente tuonata, se l’immagine stanca ma felice ha un corpo, quello è il mio. Un po’ meglio degli inglesi sulla spiaggia di Dunquerque, almeno qui non bombardano dal cielo.

Alle 6.00 quando suona la sveglia, se la sento, dò un’occhiata ai giornali italiani. Stamattina pensavo di aver bevuto troppo. 1000 morti e parliamo del Natale?

È il quinto Natale da emigrati, tornare per le feste è uno dei fondamenti, o meglio delle fondamenta, le basi che ci hanno permesso di allungare le radici fin qui. Se in questi cinque anni abbiamo potuto anche solo pensare di mettere un po’ di radici a nord delle Alpi è perché quelle vere, quelle che sentono il profumo del Mediterraneo, erano ben nutrite e concimate. L’ho sempre detto, io posso stare qui se torno in Italia tutti i mesi.

Di più, ne ho fatto la base della mia nuova identità migrante. Io qui sono un ponte, insegno italiano e sono presidentessa di una prestigiosa associazione di promozione della lingua e della cultura italiane, (che si è appena aggiudicata un bel finanziamento per realizzare le celebrazioni dantesche del 2021 (!), sì alla faccia del Covid sto diventando piuttosto brava a scrivere victory speech). Ho vinto la mia prima borsa letteraria in quota italofoni.
Insomma ho mille e millanta motivi per voler varcare la frontiera il 19 dicembre. E altrettante possibilità di scrivermi una scusa.

Non ho fratelli, né sorelle, mia madre vive da sola, so che se provassi a dire che ho diritto alle deroghe per gli anziani soli e andarla a trovare per Natale, mi risponderebbe con uno sguardo più efficace del gesto dell’ombrello, chi la conosce può immaginare. Ma il finanziere alla frontiera non la conosce, potrei passare.

Ho in casa un adolescente che sta diventando esperto di DPCM, temo che legga più quelli dei piani di studio delle sue possibili future università. Diciamo che sta sviluppando competenze trasversali, utili qualsiasi strada decida di intraprendere, impegnative quando si tratta di discutere sulla destinazione delle vacanze.

Tutto queste righe per dire che sì, gente, vi capisco, la nostalgia in casa nostra si taglia col coltello; il Natale ci piace da matti, aspettiamo a fatica dicembre per mettere le lucine, accendiamo le candele tutte le sere e mia figlia ha la playlist Christmas hit fissa su Music. Ci manca l’Italia, gli amici, d’infanzia, i nonni, il cibo, la fidanzata, il profumo di casa, la lite tra panettone e pandoro, mio marito che tuona sono ateo, è tutta un’abbuffata consumista, ma poi non si fa sfuggire una portata; la sfilza di aperitivi di lavoro, i vicini della montagna e quelli di Milano, andare a sciare, il discorso del Presidente e il walzer tamarro da Vienna, Babbo Natale che viene giù dal camino anche se nessuno vuole più crederci, i segnaposti di cartoncino rosso con la scritta d’oro che sono sempre nello stesso cassetto e ogni anno ci ricordiamo di chi è stato con noi a Natale, mio suocero che il 22 dicembre affetta prosciutto con la Berkel come non ci fosse un domani e i miei figli che ne mangiano senza ritegno fino a star male; il giorno dopo quando riesco a mandare tutti a sciare e restare a leggere sul divano, la sera quando si litiga per scegliere il gioco di società, tra Catan e Carcassonne e poi per chi ha vinto e chi ha barato a Ticket to ride.

Ma a sto giro, e non dovrei essere io a dirlo, il gioco di società è uno solo, possiamo discutere del nome, restiamo vivi, oppure siamo seri, siamo tutti nella stessa barca, oppure è la pandemia ragazzi

Ma io propenderei per qualcosa che ci ricordi che siamo tra coloro che sono fortunati, se siamo sani, abbiamo una casa dove passare il Natale, del cibo da mettere in tavola e magari del vino per accompagnarlo, una connessione internet e uno schermo per salutare chi sta lontano, la bolletta dell’elettricità e del gas pagate fino all’anno nuovo, un lavoro a cui tornare dopo le vacanze, la possibilità di aiutare chi sta meno bene di noi. Mi sembra già tantissimo e cerco di ricordarmelo ogni giorno. La mia lista della gratitudine si scrive ormai da sola.

Vi voglio bene, mi mancate, ma resto qui; passerà, faremo cose belle e ci assembreremo tantissimo, tutti abbracciati a festeggiare.