notte da pantere aka la serata dell’ascella

Stanotte ho dormito con uno.

Era abbastanza piccolo da chiedere di venire nel lettone, ma abbastanza grande da occuparlo tutto in diagonale.

Ieri sera non stava bene, non sapeva bene cosa, ma una di quelle cose che si curano nel lettone.

Io ho ipotizzato che fosse perché di giorno finge di essere adolescente e di non avere mai bisogno di me.
O forse che ha giocato tre partite e un’uscita scout in tre giorni. 

Si è presentato con la tigre che gli hanno regalato in ambulanza e con Bagheera la mamma di Pantéra taglia due tre anni come la maglietta che indossa.

Quando sono andata a letto mi si è infilato nell’ascella come quando era un bebé.

Poi il gatto Vento ha pensato che fosse la serata liberi tutti e si è infilato nel mucchio facendo le fusa, io ho cominciato a sognare cose strane.

Quando suo padre è tornato dalla tavola rotonda con il ministro macedone, non era molto contento.

Ho sfrattato la pantera.

Ora ho mal di schiena. Ma non ho il coraggio di svegliare né il bambino né la pantera.

Stasera li guiderò tutti su e giù dal Sempione, verso casa.

arrivano i nostri!

 

Se lo sguardo che ieri riteneva la situazione drammatica, si affacciasse oggi in cantiere, non so se sarebbe in grado di cogliere miglioramenti.

Perché si sa, gli sguardi sono sorretti dalle intenzioni, e le intenzioni spesso tradite dall’ansia.

Chi invece è accompagnato dalla saggezza degli antichi e dal coraggio dell’ottimismo, troverebbe pane per i suoi denti.

Perché dopo la riunione di cantiere di giovedì, un nuovo entusiasmo ha ammantato le truppe. 
E sabato mattina tutt’altra visione si offriva agli occhi di chi osava varcare la soglia.

Dove poche ore prima si ergevano malsane e vetuste pareti ora si estendono distese di macerie che lasciano luogo a luminosi open space. In un movimento fluido ci si sposta da un lato all’altro di questi nuovi spazi, accompagnati dal crepitio delle piastrelle sbriciolate, sotto le suole delle scarpe.

La luce penetra libera dalle finestre spalancate verso il lago e le montagne e l’acqua sgorga da quel che resta delle antiche tubature.
Tolto il velo delle piastrelle marroni memoria degli anni Settanta, si scoprono strati di vecchio legno, posati su strati di vecchio cemento, ormai sabbia.

E mentre lo sguardo poetico immagina nuova vita in queste stanze. La voce ansiosa suggerisce che qui di stanze non ce ne sono più e neanche di bagni, e col piffero che tra due mesi traslochiamo tutti.

Non pago di aver rovinato la festa, che neanche Tristezza in Inside Out, lo sguardo ansioso alimenta attacchi di panico ricordando il costo delle demolizioni e smaltimento macerie su suolo elvetico.
Ma la saggezza degli antichi e la forza delle radici ancora una volta ci vengono in soccorso. 

Dal versante avito dell’arco alpino, lasciando a sud la pioggia e inerpicandosi coraggiosi sul passo innevato, in una domenica di sole sono arrivati i fantastici cinque, aka William il parquettista, accompagnato dal figlio nonché socio in affari, suo fratello imbianchino accompagnato dal figlio in cerca di un futuro, e lo zio Carmelo, muratore di chiara fama.
Presa visione dei luoghi e delle macerie, i nostri eroi hanno garantito che in tre settimane dall’uscita degli impiantisti, sapranno trasformare quello scheletro nella nostra casa.
Dopodiché a fronte di 1,5 kg di spaghetti alla Amatriciana e una bottiglia di vino, sotto il sole battente del nostro giardino è scattata l’inevitabile partita a pallone, che ha visto un giovane interista difendersi degnamente da un’orda di quattro milanisti, mentre lo zio Carmelo sorvegliava dalla sdraio all’ombra del susino, la palpebra leggermenta calata.

Al caffé avevamo ricordato tutti i cantieri affrontati insieme, i clienti più bizzarri, le richieste più assurde.
Dopo qualche litro di acqua ghiacciata per rinfrancare i giocatori ci siamo salutati sulla piazza come vecchi amici e mentre loro tornavano verso la nostra Patria, noi ci immergevamo in formulari e incartamenti per farli penetrare regolarmente sul suolo della Confederazione.
L’operazione sembrerebbe più semplice di ogni aspettativa alla faccia della voce ansiosa. Mentre invece affatto semplice parrebbero le manovre di trasloco che qui si prenotano con molti mesi di anticipo.
Alla disperata abbiamo immesso i nostri dati su una piattaforma di preventivi per traslochi, che immagino gestita direttamente dalla Banda Bassotti. 
Restiamo in attesa.

 

adelante!

La situazione a un primo sguardo potrebbe apparire drammatica:

qui un giorno ci sarà una bellissima lavanderia e atelier
non sembra ma sarà una bella camera da letto vista lago

 

Ma è importante concentrarsi sulle note positive:

– la settimana volge quasi al termine e la partita di domattina è alle 9 non troppo lontano, si può dormire fino alle 7,45.

– il figlio maggiore ha superato di mezzo punto la sufficienza in francese, nonostante col cuore sia già in Inghilterra, possiamo sperare che ci vada da promosso.

– l’elicottero al secondo tentativo è riuscito a raggiungere il rifugio sul ghiacciaio dove il pater familias stava felicemente rintanato con la banda dei folli: i suoi assistenti, i trenta studenti più matti che hanno trovato, e una scorta di buon vino trafugata tra i materiali di studio dopo aver testato durante il sopralluogo la cantina delle vette e aver dichiarato: “Senza bagno ce la possiamo fare, ma con il loro vino no!”
Ora non si sa se l’elicottero trasborderà solo i bagagli, come da previsioni e loro scenderanno in sci.
Oppure se il livello di consapevolezza e lucidità acuiti dalle tragedie appena accadute sulla stessa montagna, faranno optare per un’evacuazione via aria di tutta la comitiva. La quantità di neve imprevista e i boati di valanghe paiono far propendere per la seconda soluzione. Qui a terra intanto andiamo con ” no news good news”.*

– i lavori di demolizione sono cominciati e io sono sopravvissuta alla prima riunione di cantiere, che già io le odiavo in italiano, con le tonnellate di maschilismo nascosto dietro la galanteria come un elefante dietro un filo d’erba, una donna in cantiere sarà sempre una signora, suo marito l’architetto. Figurarsi poi ieri quando le battute erano in vodese stretto (variante del francese elvetico con areale nel Canton Vaud) e le squadre da coordinare erano quattro, le nazionalità cinque. Ma io mi sono presentata con le mie tabelline colorate del cronoprogramma, sono riuscita a fissare delle date fondamentali, a gestire la coreografia tra impiantista e cementista e a portare a casa solo una variante di prezzo per il sottofondo a presa rapida. Primo match, non mi lamento, posso recuperare al ritorno.

-in una fabbrica di Tangeri pare abbiano messo in produzione le mie piastrelle, che se tutto va bene saranno messe in tempo su un camion, cambieranno continente, varcheranno Alpi e Pirenei, e potrebbero anche arrivare in tempo.

– il signor Pequeno, genio dell’improvvisazione alberghiera del villaggio, ha un monolocale da affittarci per il nostro parquettista, al costo di un’intera vacanza in Grecia, ma sempre molto meno di qualsiasi altra soluzione. E poi noi senza il parquet di William non ci sentiremmo a casa.

Quindi, nonostante le apparenze, parrebbe che la ristrutturazione della casa di Gertrude possa procedere. Io guardo il tutto incredula, e mi fido degli iris che sbocciano sereni. Ci hanno anche messo un semaforo a comando davanti a casa, piuttosto utile per un certo ragazzino che dovrà andare alla nuova scuola in monopattino.

  iris di Gertrude con nuovo semaforo sullo sfondo.

*Ci è appena giunta notizia, grazie a una triangolazione con il Politecnico di Torino, che il pater familias è giunto integro ma senza telefono, alla base di Zermatt. Il messaggio non diceva altro, ma ce lo facciamo bastare.

** L’avventura del pater familias e del suo manipolo di folli è quasi felicemente conclusa, l’ultimo messaggio ce li dava in bus sull’autostrada, ma si erano dovuti fermare a soccorrere un bus di una scuola materna in gita che aveva forato. Pare che caricheranno i quattrenni insieme agli studenti e li riconsegneranno alle loro famiglie prima di rientrare in università. Dopodiché io dovrei andare a recuperare marito e attrezzatura da sci e ricongiungerlo con una doccia da cui è lontano da una settimana, salvo che nello stesso momento dovrò essere alla riunione di presentazione del campo estivo dei lupetti, inoltre il campus è irraggiungibile per la prima delle tre serate da ballo inventate dagli ingegneri elettronici: il famoso BALELEC. Sarà una lunga serata.

Frivolezze

Bene, tra poco ho un appuntamento che anni fa avrei giudicato molto importante, e ora prendo con molto distacco e poche aspettative, ché a furia di prendere porte elvetiche sul muso, si acquisisce una certa eleganza.
Per essere appunto elegante avevo previsto il minimo, andarci coi capelli in ordine e la camicia stirata. Pantalone con la piega, un minimo casual, ma preciso. Una tipa affidabile, ma alla mano, informale, ma elegante.
 
Peccato che il ferro da stiro, offeso per non essere mai usato in terra straniera, meglio portare le camicie a stirare quando si va a Milano, si sia inabissato in cantina, non pervenuto.
Stessa fine per la piastra dei capelli nella camera della figlia adolescente. Questo più normale.
Ma l’unico motivo per cui abbiamo una piastra è che io non sono capace di farmi la piega, non me ne curo mai. Ma quando piove e c’è vento i miei capelli impazziscono, e divento un incrocio tra Shaun the Sheep e Bellatrix Lestrange.
Oggi c’è molto vento e sta cominciando a piovere.
Colpa mia, che non ho mai dato a intendere alla mia ragazza che qualche mattina avrei dovuto anche io uscire di casa in ordine. Di qui l’usucapione della piastra.
Ho provato ad aprire qualche suo cassetto, un’esperienza che non consiglio, potrebbe aprire una frattura insanabile nelle relazioni familiari. Ho desistito.
Quindi ora mi appresto a uscire, con i capelli di una quasi pazza.
Ho postato un video sull’importanza di valorizzare il grigio, una successione di donne bellissime e curatissime, con i capelli più o meno naturalmente grigi o bianco neve. Avrei dovuto trovarne uno su praise the wild e mettere la mia foto di stamattina.
Per completare con un tocco di vera classe la mia mise fatta solo dell’intramontabile vestito di maglina blu anti stropiccio, il gatto Tempesta che mi ama molto, sta cambiando i peli, che sono bianchi e grigi, tanto eleganti sul vestito blu.
Il rotolino appiccicoso ha perso il manico, quindi mi sono sdraiata sul pavimento della cucina e ho tentato di farlo scorrere sul vestito appoggiato sulla sedia. Non male. Poi il gatto è tornato a salutarmi, appena avevo indossato il vestito.
Nella mia lista di cose da fare c’è anche guardare la strada, e l’uscita dall’autostrada, per arrivare all’appuntamento. Questo forse posso farlo giusto.
Poi dicono che sono rilassata agli incontri di lavoro…
Quando ci sono arrivata il peggio è passato, tutto in discesa.
Pensatemi.
E speriamo che la mia interlocutrice sia miope, o almeno non allergica al pelo di gatto.

basta un gatto e un’orchidea, forse due.

Periodo convulso, scrivo molto, ma non qui. 
Scrivo per passare esami, che quelli non finiscono mai.
Scrivo per raccontare storie, che pian piano trovano la loro strada.
Scrivo a notai, operai, segreterie molte, professoresse varie, medici, capi scout, direttori, allenatori, amiche, maestre, agenti immobiliari.
Scrivo in diverse lingue, a volte tutte insieme, ché il cervello fa cortocircuito.

Ma soprattutto scrivo liste.
Perché qui di roba da organizzare ce n’è parecchia e tutta nelle stesse settimane.
E nel XXI secolo, per me non esiste ancora modo migliore per tentare di tenere insieme i pezzi, di una lista a matita su un pezzo di carta. Qui la chiamano Solution papier crayon.

C’è un rogito da fare a Milano per cui servono mille documenti: lista dei documenti+ lista di chi li deve fare+ lista di chi e quando andrà a Milano.
Un cantiere da gestire qui, almeno venti liste: materiali, fornitori, operai, spedizioni,  preventivi,  fatture, calendario, imprese che qui il lavoro è garantito dalla frammentazione dei compiti, un’impresa fa solo demolizioni, una costruzioni in gesso, una gettate isolanti, una muri in mattoni, roba che al CERN sono meno specializzati e senza una lista ci si perde.

Un trasloco, dieci liste: una per ciascuno di noi+una per l’assistente macedone che ci mette in contatto con traslocatori balcanici+una per i trasportatori balcanici+una per il trasferimento delle bollette+una per gli scout che forse aiutano con il giardino+una per la nonna che forse viene nei giorni cruciali.

Una casa da restituire a Monsieur B.: lista dolorosa del ripristino danni da noi inferti, chiodi piantati, mani sul muro, graffi sul pavimento, arbusti da potare, lavandini da sturare. Se non facciamo tutto, si tengono la cauzione.

Tre campi scout per cui partire la mattina dopo il trasloco: tre liste di ciò che deve andare negli zaini e non negli scatoloni.

Una vacanza studio in Germania: idem lista di quello che deve andare in valigia e non negli scatoloni né nello zaino scout che tra l’arrivo e la partenza ci sarà solo una notte.

Una meritatissima vacanza in Grecia per chi  sopravvive a tutto ciò: lista del pochissimo che deve andare nel bagaglio a mano, delle prenotazioni di aereo, traghetto, auto, casa.

Una partenza per un anno in Inghilterra tre giorni dopo essere arrivati dalla Grecia: lista impossibile di quello che un adolescente potrebbe necessitare per dieci mesi lontano da casa, che non sia inscatolato nel trasloco, perso al campo scout, dimenticato in Grecia.

Solo a mettere in fila queste liste, mi prende un senso di soffocamento.
Ma io ho un trucco.
Mentre navigo tra gli scatoloni, ancora troppo vuoti, mentre tutti danno per scontato che sarò io a reggere e organizzare tutto, anche quando non sarò qui, mentre mi sento inghiottire dalla cose da fare…

io ho un gatto che ogni volta che entro, anche se sono solo andata di fronte a prendere il pane, mi corre incontro e mi fa le feste. E forse lui è così affettuoso perché ha fame, o perché fa una bella vita e ha sempre suo fratello, quindi i gatti sono due, ma quel saluto pieno di fusa solo nel vedermi arrivare, mi consola di molte fatiche. Comprese le spazzolate che chiede imperioso ogni mattina.

E poi ho un’orchidea, che nonostante tutto il caos che la circonda, ha deciso di fiorire, in direzione ostinata e contraria. E ha sette boccioli che ogni giorno sono più cicciotti, anche se io sono una bestia con le orchidee.

E quindi non so come i membri della mia famiglia  sopravviveranno al trasloco, e ho molta voglia di fregarmene.
Stavolta credo che mi occuperò di me, dei gatti e della mia orchidea, per i quali  tutto questo rischia di essere traumatico.

E chi mi chiede notizie, abbia pazienza, scrivo quando riesco, prometto aggiornamenti dal cantiere, per ora in mano a demolitori albanesi.

Sorprese dal giardino

 Ho aperto questo sito due anni fa.
Non era un momento facile, o forse troppo.
Mi trovavo senza niente da fare.
Dopo aver mosso mari e monti, figli e gatti, trovato casa,  svuotato casa, affittato casa uno, affittato casa due, ché in italiano si dice nello stesso modo se la casa è tua e la dai in affitto e se invece la prendi in affitto. Fatto documenti di ogni sorta, permessi di soggiorno, iscrizioni a scuola, patenti della macchina, passaporti dei gatti, abbonamenti del bus e del treno, della televisione, internet, telefoni, assicurazioni per tutto e tutti, conti in banca e carte di credito, tutto questo, che solo a leggerlo mi torna la stanchezza, in una lingua che masticavo appena. Improvvisamente mi ritrovavo a mani vuote con la domanda,

E adesso?  E io?

Perché per tutti gli altri era chiaro cosa erano venuti a fare in questo Paese, ma io a parte badare a loro, che poteva bastare per riempirmi le mani, ma non la pancia, per il resto non sapevo veramente cosa ne sarebbe stato di me.
Così ho provato a vedere bene che la mente spesso gioca strani scherzi, e sentirsi a mani vuote, non vuol proprio dire esserlo. E mi sono ricordata delle cose che amo fare, che alla fine, stringi stringi, sono disegnare e scrivere.
Cioè ce ne sono molte altre che mi piacciono, ma quelle che mi fanno stare bene per il solo fatto di farle, anche da sola, anche senza un motivo, sono quelle lì.

E da lì sono ripartita, raccogliendo un po’ di pezzi e mettendoli in queste pagine, le mie storie, i miei libri, i miei disegni, e pian pianino li aggiungo, quando li trovo in un cassetto.

E aggiungi aggiungi, sono successe tante cose davvero imprevedibili in due anni.
Stamattina sono andata alla casetta che abbiamo appena comprato, ( abbiamo comprato una casa in Svizzera! Me lo avessero detto prima sarei svenuta) e mentre aspettavo il signore delle caldaie, faceva un gran freddo, ma mi è venuta voglia di restare in giardino, di farci un po’ amicizia.
In alcuni vasi c’erano dei fiori di vetro, (mia nonnna li chiamava così non so il nome botanico), e delle begonie, erano morti congelati.
Mi sono sentita in colpa. Ormai sono miei, me ne devo prendere cura, la signora Gertrude me li ha lasciati, lei è in casa di riposo.
Mi è venuto in mente Il giardino segreto, di Frances Hogdson Burnett, da piccola lo avevo adorato.
Il signore delle caldaie era in ritardo, ho potuto continuare la mia esplorazione.

Il giardino non è grande e non è bello, molto trascurato, ma mi ricorda quello di mia nonna.
Tutta la vita aveva raccolto, anche rubato, semi, talee, rametti, e li aveva portati lì. Mio nonno raccontava di averla scoperta staccare un rametto d’ibisco durante una visita ai giardini imperiali a Tokyo e portarselo per tutta la crociera in un fazzoletto umido fino a casa.
Mio padre si è fatto portare via dalle banche quel giardino, per fortuna mia nonna non ha fatto in tempo a vederlo.

Ma io ora ho il giardino di Gertrude, e a giudicare dalla quantità di vasi e vasetti sbreccati sparsi in giro, anche lei deve aver raccolto fiori un po’ ovunque, e prima di lei sua madre che ha costruito la casa.

E anche se qui fa ancora un freddo per me insensato, il giardino si sta svegliando, a guardare bene mi ha già regalato dei fiori, e tanti altri bulbi fanno capolino un po’ dappertutto.

Quest’anno sta portando un sacco di sorprese, pare che la primavera mi porterà anche un giardino in fiore.

E di questo non posso che essere grata.